Ogni cittadino è un Contribuente. “Contribuente” è chi contribuisce. Così, almeno, dovrebbe essere. Con-tribuire vuol dire letteralmente concedere un tributo, ossia, offrire una parte di ciò che si ha, ma solo una parte. Per contributo, infatti, si intende “un apporto” (non un pieno trasferimento) di materia energetica, umana, in questo caso economica, che affluisce in un bacino già “fatto”, non da realizzare (altrimenti si chiamerebbe diversamente); un atto volontario, quindi, fondato sull’etica e sulla capacità di giudizio: faccio parte di una famiglia, la riconosco un’istituzione, traggo vantaggi da questo, fornisco una forza proporzionata ai miei mezzi. Un atto necessario, certo, ma che andrebbe compiuto solo in base alla disposizione finanziaria di ognuno, nessuno escluso, naturalmente, solo in base a quella. E solo in modo volontario. Esattamente come volontario (e mai nessuno si è sognato di considerarlo diversamente) è l’altro compito del contribuente: partecipare allo sviluppo sociale attraverso l’immissione di parte del suo capitale nell’attivo circolante della vita di tutti i giorni: fare la spesa, vestirsi, investire eccetera). Il concetto di Contribuente, e il suo compito, sono stati distorti. Il Contributo è una Tassa, oggi, “un prezzo” da pagare per appartenere all’istituzione, il cui importo, tra l’altro, viene fissato arbitrariamente senza aver sentito le parti. Esponenziale, rispetto alle necessità del richiedente. Ora, uno: tentare di risanare il debito pubblico con questo sistema è assolutamente inutile, anzi, fallimentare. E’ come avere un debito di 1000 euro e cercare di pagarlo dando acconti di 5 centesimi per volta. Vi pare possibile? Due: questo sistema, a lungo andare, ha privato i contribuenti del necessario per poter partecipare a quello sviluppo sociale indispensabile (più dei conti pubblici in ordine) per fare di una nazione una nazione ricca. Da qui la depressione.
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