“Uccelli migratori” di Gaetano Altopiano

Quel centinaio di metri che concludono la terraferma erano bruciacchiati da un vecchio incendio. Una sola doppia striscia di cenere grigia in mezzo a sabbia e sterpaglie, sotto, la schiuma di qualche onda che saltava fino al limite massimo. Le ruote cigolarono quando ci fermammo, e un strano odore (tra fumo e ganasce surriscaldate) si diffuse  nell’intero perimetro. Guardai la mia compagna che si aggiustava i capelli. La mia ferita alla mano sinistra. La molla del cassetto del cruscotto che pendeva. Era la prima volta che venivo a fotografare le cicogne e la cosa mi emozionava molto. Guardai l’orizzonte e mi vennero in testa parole tipo casa, nido, uovo, migrazione, poi una che non c’entrava proprio niente: geometria, e una che mai potevo pensare mi venisse in testa: lobotomia.  

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