“The wall” di Gaetano Altopiano

Col tempo, inevitabilmente, ognuno capisce di avere pochissime chance. Zero colpi da sparare, ecco. Quella che in gioventù sembrava una pianura sterminata, la cui fine era preclusa alla vista per quanto appariva lontana, oggi è una strada urbana, un vicolo addirittura, un culo di sacco che porta solo a un percorso obbligato. Un muro. L’attività, col tempo, è diventata il suo contrario più angosciante: passività. Nessuno è immune. “Stabilmente assestata”, oggi, è un ex nonsense promosso a termine più adatto a definire ogni spinta vitale. Lo sanno tutti, eppure. Ancora tra gli uomini c’è chi porta scarpe che slanciano un poco e tra le donne è abbastanza diffusa l’usanza di rifarsi le tette. Corrono tutti in massa alle urne, si abbronzano nella speranza di assumere un’aria orientale e i temerari piantano le famiglie a cinquantanni e si risposano. Si parla d’amore, si gioca al lotto, e nei caffè ci si rende ridicoli abbordando quella che ha l’aria più problematica. Errore gravissimo. La testa sbatte contro il muro, sbatte, sbatte, ma non fa breccia. E come potrebbe? 

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