A PALERMO DOPO L’INFERNALE INVERNATA

A.
A Palermo, dopo l’infernale invernata di maggio, uomini in canotte vistosamente griffate che arrotolano doviziosamente per fare respirare pance e ombelichi, non certo tenui, carichi di bile accumulata, gonfi come grappoli di emorroidi non rincasate, giusto all’inizio serrati a doppia mandata che solo un verme, quello sì tenue, può inoltrarvisi. Indiani sri lanka, pachistane gravide, marocchini del niger e libici siriani, fanno tesoro del genio indigeno palermitano. Dopo poco, dopo l’esodo di tutti i vermi tenui da quelle pance, dalla moltitudine multietnica di ombelichi scoperchiati al gran caldo, schizzano mosche tavane, indelebili ragnetti rossi detti trombidium holosericeum, lucertoline del Gange, biscette nere affamate d’acqua rocchetta, gracule religiose che gracchiano, dov’è dio, dov’è dio, dov’è dio, abbiamo sbagliato strada, abbiamo svagliato strada, abbiamo sbagliato strada.
Poi qualcuno si ingegna per fare uscire dal finestrino aggrippato, non l’aria sudata, ma quegli ombelicali insetti e animaletti tremens. Il guidatore canticchia una canzoncina napoletana, insieme alla passeggera sedicenne, aggrippata alla cabina di guida e non interessata a rialzare la saracinesca del suo lato…

B.

Linea stazione Centrale-Statua della Libertà, Palermo, temperatura percepita 101 gradi mercalli.

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