SE DICO DRGA PROAC di Gaetano Altopiano

Se dico “noi siamo amici” o “adesso vado a cena” ho fornito un esempio dell’ordinario etico e fonetico del mio linguaggio: io e te abbiamo un legame, tra poco andrò a mangiare. Frasi compiute che suonano familiari. Se dico invece “drga proac” o “dttta assd ghal”, ho dato un esempio del suo straordinario, che vive senza alcuna apparente regola fissa: il suono non sarà riconosciuto e il mio interlocutore non capirà quello che voglio dire. Nessuno, però, può stabilire fino a che punto questa differenza sia vera. Nessuno può affermare con certezza che solo un’espressione eticamente e foneticamente ordinata abbia un senso mentre una disordinata non ne ha, tranne che per la conoscenza che in atto ha del proprio linguaggio (escludendo la lingua straniera, perché “fuori di noi” e per la quale vale un discorso a parte). Muovendo allora dalla constatazione che, al di là del motivo per cui è formulata, ogni frase comprensibile è preceduta dalla ricerca delle parole adatte disponibili (in archivio) non c’è ragione di pensare che per le frasi incomprensibili debba accadere diversamente. Queste sono dentro di noi esattamente come le comprensibili, sono, come quelle, in archivio e frutto della medesima combinazione musicale: in generale, vocale + consonante + suono. Sono frasi “possibili” di cui però non conosciamo ancora il significato, o a cui non ne abbiamo ancora assegnato uno. Lo dimostra il fatto che la velocità di elaborazione della parola (frase) compiuta e significante è identica alla velocità di elaborazione di quella che sembra inarticolata e insignificante. Il cervello non impiega più tempo per concretizzare una frase come “noi siamo amici” di quanto non ne impieghi per la frase “drga proac”. Questo, ovviamente, perché conosce la frase noi siamo amici non meno di come conosce la frase drga proac. 

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