STORIE EL SIGNOR JFK (58) di Francesco Gambaro

Il periodo più bello è quando cadono le croste, quando piovono come le rane di magnolia. JFK a lungo ha sofferto di eczema microbico. Per lunghi mesi il suo corpo è via via via via via diventato un plastico dei campi flegrei. Sino al fuoco dell’acme. Poi, quasi improvvisamente, la carne, viva in eccesso, ha maturato la sua stessa consunzione. Le croste. Belle da vedere ma non da toccare. A una a una, talvolta a due a due, talvolta tante in un solo barlume, hanno cominciato, incredule spiazzate, la discesa dal monte Sinai. JFK le vede cadere e squittisce con  jingle  di piacere quando le sente atterrare. Poi tante, poi tutte, sino a riempire l’intera e unica stamberga in cui vive. Le croste si depositano sul pavimento come i diavolicchi sulla glasse dei dolci di mandorla siciliani. A 84 anni JFK ha proprio voglia di carnevale, di festeggiare, di ballare, di liberarsi della calce delle creme, degli indumenti bianchi, dei fantasmini incolori, dei suoi 84 anni leggeri. Improvvisa una danza cheyenne, un tiptap fredastaire a piedoni nudi che rispondono sonori e croccanti, palloncini di ciungam, ossicini del lobo dell’orecchio quando mani istruite li fanno scrocchiare. In cortocircuito le stelle di San Lorenzo. Piove manna. A Sant’Antonio non ci potette l’acqua di mare, pensa JFK, ormai all’ultima spiaggia. E l’uccello di JFK, sbalzato su e giù come sulle montagne urali, se la ride.

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