L’IMPREVISIONE


La prima volta che vidi me stesso fu in prossimità della stazione ferroviaria in cui dormii la sera della licenza. La notte trascorse quasi tranquillamente, se non per il monotono mormorio di un ruscello vicino al mio giaciglio e per le ripetute incursioni delle zanzare, e solo all’alba il mostro si materializzò in tutto il suo orrore. Non credo ci sia uomo che possa guardare la propria figura senza piangere, e almeno una volta questa tragica esperienza capiterà a tutti. Mio padre racconta di averla vissuta a tredici anni: frequentava la scuola agraria e si vide mentre zappava un filare di cavoli nell’orto dell’istituto mentre in realtà era affacciato a una finestra. Non ricorda di essersi commosso, ma i ragazzi non conoscono ancora la nostalgia di se stessi. Io mi vedevo da dietro, rannicchiato sulle ginocchia e intento a baciare una donna che non avevo mai visto. Sentii molto la mia mancanza e mi addolorai. Tentai di accendere un fuoco nella speranza di riscaldarmi, ma mi fermai subito: difficilmente il calore sarebbe arrivato a quella distanza.

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