(L’OCCHIAIA. 28.)

   Nelle ninnaninnose ore pomeridiane agostane, in fondo al rettangolo di asfalto polveroso, giusto dove ronzano silenzi affezionati a lui ma ai più ostili, l’allampanato fabbro soffia rosse nuvole di antiruggine sulle ringhiere accostate al muro di pietre giallastre oltre il quale certo non si fatica ad indovinare l’abside della vicina chiesa. E di rimpetto al lato dello spiazzo sempre ingombro di mucchi di lacci di scarpe da ginnastica, il bambino cresciuto anzitempo,  in groppa a una bicicletta incatenata alla rete di recinzione, scaglia, più in alto che può, la sua sgonfia palla di gomma a spicchi colorati che tratteggia fra gli azzurri caliginosi del cielo sfilacciati arcobaleni…  

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