(L’OCCHIAIA. 30.)

                                                                                                                                                

Neanche l’ombra di un filo d’erba sulla spiaggia. Solo la donna e il bambino, distesi fianco a fianco sulla sabbia rossa, si abbandonano a questo sole implacabile. Ed io,che, con cocciutaggine, mi ostino a inseguire orme sognate e risognate,  un tempo,forse, mie. Incrocio l’uomo poco prima di raggiungere la foce inguadabile del torrente le cui torbide acque rumoreggiano sotto le arcate di un ponte di pietra che naufraga tra i flutti, a largo. Si muove con naturalezza sulla battigia nonostante l’elegante, attillato vestito di un chiaro fresco, arioso. Mi guarda, mi sorride, senza fermarsi. Il suo volto mi è familiare e, strano a credersi, sulle sue scarpe lucidate a specchio non sbrilluccica un solo granello di sabbia. Torno indietro sui miei passi. Chiedo alla donna se ha riconosciuto quell’uomo che, di certo, poco fa, le è scivolato accanto. Sgrana gli occhi sbalordita: davanti  a loro, giura, non è passata anima viva… Ora non sono più solo: il bambino mi tallona. Sento scoppiare la sua risata argentina ogni qualvolta finisco a gambe all’aria in acqua. e ciò accade, immancabilmente, tutte le volte che io, fermamente intenzionato a intrappolare negli occhi tutto il visibile e non solo che riesco a catturare con lo sguardo, me li tappo con entrambe le mani.

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