La soluzione al quesito “chi erediterà le chiavi della cattedrale?” presuppone l’esistenza di soggetti idonei a conferire specifico mandato per la gestione spirituale e materiale dell’organismo di vertice ecclesiastico.
Il mandante, infatti, possiede la competenza statutaria per conferire al mandatario la legittimazione ad agire in suo nome e per suo conto, attestando con la sua designazione la sussistenza nel procuratore dei requisiti necessari per lo svolgimento della funzione pastorale. Analogamente, nel campo delle arti visive i possessori della competenza statutaria per designare chi può accedere all’esistenza pittorica stabiliscono, altresì, ciò che è otticamente corretto.
La definizione di “immagine corretta a fronte di tutte le altre immagini che sarebbero scorrette e quindi illegittime”1 è, quindi, statuita ad opera di soggetti abilitati a certificare l’otticamente corretto: è ciò che normalmente avviene per l’art brut.
La significata analogia, può, ancora, esplicitarsi per mezzo di un’altra.
Un accademico per produrre effetti nel campo matematico deve introdurre, per esempio, una nuova tesi su particolari equazioni e, poi, dimostrarne l’attendibilità scientifica.
Lo stesso accademico può ritrovare in una soffitta abbandonata il diario di uno schizofrenico in cui è riportata una nuova tesi su particolari equazioni, della quale riconosce la sua attendibilità scientifica.
Ora, a differenza di una formula matematica scoperta in soffitta la cui portata innovatrice è dimostrata empiricamente con riscontri logici, la scoperta nella medesima soffitta di un’opera pittorica realizzata dallo stesso soggetto schizofrenico può essere canalizzata nella categoria dell’art brut grazie soltanto al giudizio di convalida del critico d’arte.
In entrambi i casi, il comune denominatore è costituito dall’assenza, da parte degli autori, di volontà per produrre effetti nel campo matematico o pittorico.
Sul punto, è “significativo che i più coerenti – quindi i più incoerenti – fra questi teorici della cultura naturale (Roger Cardinal per esempio) facciano della mancanza di ogni relazione con il campo artistico, e in particolare di un qualsivoglia apprendimento, il criterio più decisivo per stabilire l’appartenenza all’art brut”2.
Il pittore di art brut non entra nel campo di gioco della competizione artistica; anzi, ne ignora l’esistenza, contrariamente a ciò che normalmente accade.
Se nel campo religioso può verificarsi una contesa tra frati per il bastone del priore o nel campo scientifico una lotta tra accademici per l’affermazione di una particolare teoria, nell’art brut tutto ciò non accade: è assente ogni forma d’interesse o disinteresse alla competizione.
È qui che interviene il giudizio colto dello “scopritore” che crea il creatore di “un’arte priva di artista, arte al naturale, scaturita da un dono della natura” che “dà la sensazione di una necessità miracolosa, alla maniera di una Iliade scritta da una scimmia dattilografa, fornendo così la giustificazione suprema all’ideologia carismatica del creatore increato”3.
La definizione della posta in gioco – l’invenzione del creatore e dell’art brut – viene, quindi, compiuta per opera di chi ha accettato e gestisce l’eredità della critica d’arte, il quale tramite l’intronizzazione del creatore ostenta al mondo intero il possesso del bastone di priore delle arti visive.
1 Discorso sull’orrore dell’arte, Paul Virilio, Enrico Baj, Elèuthera, 2002, pag. 27 2 Pierre Bourdieu Le regole dell’arte, Il Saggiatore, 2005, pag. 324
3 Pierre Bourdieu, Le regole dell’arte, ibid. pag. 324
*(già pubblicato in “retidedalus”)