Svegliandosi dopo una nottata caldissima, si trovò qualcosa di pennuto nella gola. L’aquila si era impigliata a testa in su, intasando il suo esofago. Il becco si era incistato all’altezza delle sue tonsille, così la voce dell’uccello fu pronta a sostituire quella dell’uomo. E l’aquila parlò, mentre l’uomo, con smorfie mostruose, si sforzava di negare quanto veniva via via affermato attraverso il suo medesimo cavo orale.
Intanto il suo corpo si contorce in spasmi feroci, e per la tensione l’uomo spalanca le palme delle mani. Che si tendono, si arrossano sino a diventare violacee. E in ciascuna di esse si apre un solco netto che diventa sempre più marcato, come un taglio. Sono due labbra, sbocciate di colpo e di colpo parlanti, anzi strepitanti.
Inizia subito un’astiosa polemica contro ciò che nel frattempo l’uccello non ha smesso di proclamare. Si accende una disputa rabbiosa, con argomentazioni bizantine e infiniti rimandi. Le voci sono chiocce e pizzute, petulanti e assordanti, e si confondono fra loro specialmente quando le due labbra spuntate dalle mani, mentre polemizzano con l’uccello, battibeccano fra loro, una contro l’altra.
L’uomo vorrebbe interloquire, ma non può, allora cerca di aggredire la situazione, prima mordendosi le palme per farle star zitte, poi provando a tappare l’esofago con le stesse mani parlanti. Ma il becco dell’aquila, accorgendosi della vicinanza delle sue antagoniste, balza dal cavo orale e tenta di morderle. Queste allora aggiungono collera a collera e il vociare si fa sempre più confuso.
Ben più grave diventa però la situazione quando l’uomo si accorge che sta avendo un’erezione. Il suo pene è diventato enorme e preme dai pantaloni al punto che lui non può fare a meno di liberarlo. “Potevi fare più in fretta!” si lamenta con vocina da topo il pene, appena riesce a respirare. Sul prepuzio è spuntata una boccuccia che si lancia subito nella mischia del dibattito in corso.
Fioriscono minuscole labbra anche dalle dita dei piedi, fauci si spalancano sul petto, sul dorso, sulle ascelle, sul naso, sulla nuca, sulle ginocchia. Ma la bocca più petulante, più insopportabile, puzzolente, sgraziata è quella che germoglia per ultima, carnosa come petalo di un fiore tropicale, dall’ano.
“Questa è la democrazia, ragazzi!” sbraita appena sbocciata.