LA SCORTICATA

La veneta è tornata nel pomeriggio mentre pioggia e vento battevano furiosamente. La più piccola tra noi ci ha sussurrato: stanno entrando. Io ho spento la cicca sul muro. Che mese è? Febbraio, forse, o l’inizio di marzo. Il periodo peggiore da passare. Le suore preparano sempre pastina col dado e non fanno che infilare stracci nelle finestre, inutilmente. Pioggia e vento, qui, non smettono di fischiare. Noi orfanelle prendiamo un aperitivo finto, ci scambiamo le lingue e ridiamo. Io ho una borsa Chanel appartenuta a una morta e mi atteggio. Sentiamo le porte sprangarsi, poi un rumore di passi che si allontanano. Che mese era? Febbraio forse, fine febbraio. La sistemarono nell’infermeria sul corridoio e si allontanarono. La vedemmo quando vennero a cambiarle le lenzuola: due stavano sotto, la piccola di vedetta, io sulle spalle di Beatrice. La veneta era completamente priva della pelle, almeno nella parte che riuscivamo a vedere: carne viva. Di un viola che non ricordava nessun altro viola che io avessi mai visto prima neanche nelle macellerie. E i tendini scoperti, e certe parti bianche e lucide che affioravano. Un occhio era un embrione d’uovo e non fissava altro che il cucchiaio di quella che la imboccava. L’altro mi beccò nell’attimo in cui quegli anni volavano nello sprint finale: due decimi di secondo. Un battito di ciglia, la porta che si riapriva. Venti anni e mezzo. Poi le voci originali di Brad Pitt, di Morgan Freeman, di Al Pacino.

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