PER UN PAIO DI OCCHIALI

Entrai per comprare un paio di occhiali nel negozio più fornito della città. Sull’uscio una gentile signorina si premurò di farmi accomodare e mi presentò un giovane omuncolo che si prese cura di me. Cominciò a sfoggiare la sua torrenziale dialettica proponendomi un’interminabile gamma di lenti e montature sparse sul tavolo, me ne fece indossare un centinaio, magnificandomene la qualità e l’estetica, elargendomi sconti imperdibili, pronto a regalarmi altri quattordici paia di occhiali se avessi preso quello più prestigioso, mi fece i complimenti per l’età, apprezzò la mia sciarpa, mi chiese che lavoro facessi e aggiunse che conosceva tanti miei colleghi, mi propose ulteriori ribassi di prezzo per la mia famiglia e i miei amici. Erano passati quarantacinque minuti e io avevo fame, sonno e la prostata non ce la faceva più. Abbozzai un “ci penserò”, ma Salvo – il nome l’aveva stampato su un’etichetta appuntata sul petto – non mi ascoltò. Il tono era chiaro e squillante, la parola scivolava leggera, gli occhi fermi sui miei. Mormorai un “adesso è tardi”, ma Salvo continuò ad armeggiare su lenti e montature, mi parlò del suo piatto preferito e delle treccine di sua figlia, del suo cane senza denti e della collega un po’ baldracca. Sentii un ronzio dentro la testa, gli conficcai le aste del più prestigioso paio di occhiali dentro le pupille. Mi alzai e uscii dal negozio, non prima di avergli dato fuoco.

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