Dormo nella Città morta
o morto giaccio nella Città che dorme
che cinque dita figlie di mano ipocrita
hanno abbattuto togliendomi il respiro
che fu d’un tempo ottusa speranza.
Non mi è bastato nemmeno il baule
che diede vita al mio primo giorno
allora che per proteggermi dalle piaghe
alla Madre fu concesso lo scudo
di colpi inferti e segnati
al facile bersaglio dei sorrisi affilati.
Ci sono vite disegnate e vite trafelate
che nessuna mano governa alla pietà
perché da nessuna mano scorrono
dei rivoli alle lacrime.
Nel sonno la Città si accascia
il sogno di quel sonno
che insorge alla follia d’amante.
Stolto quell’altro che come me vi cadde
all’appello del risuonare
di sordide menzogne
che ancora ammutolisce il cuore
nell’antro di un tugurio
che al cardiaco del battito cipiglio
resiste ancora il segno d’una vita.
Allora come luna bugiarda spande
sorrisi dissalati così alla trappola
di oscuri fantasmi si avvolge la mia stanza
lì dove il respiro mio nasce e poi si perde.