(scritto nel 1983 – ‘avversato’ nel 2004)
non ho mezzi per legiferare su nulla
non ho una causa non so di che cosa
rispondo a chi non so nulla e non accetto
fino in fondo (non so cos’è ‘fino in fondo’)
so che dentro questi ‘non’ brulicano
con una libertà di cui so poco i ‘si’
(e di tutti questi ‘si’ cerco di dar conto)
non avrei più nulla da aggiungere
a queste note del cavolo ma siccome
non ho speranze ne disperazioni insisto
non ho idea dell’organizzazione
del ‘discorso’ mi comporto al riguardo
come in qualsiasi altra faccenda con
un flusso costante di attenzione blanda
senza significato intanto sperimento
che non è facile trattare con me
so quasi tutto della psicologia dei miei
vicini l”altra’ spesso m’annoia
sono uno straccione e questo a volte
mi deprime la blanda attenzione
è uno scoppiettio continuo che
il boato della civiltà del mercato
copre e allora forse sto meglio
non mi va l’avarizia non sono prodigo
non scherzo non so essere serio
sto nel ‘vaffanculo universale’
un eccidio mi rovina la digestione
anche un buffetto lo fa ma c’è
la violenza che a volte m’incanta
tra intolleranza e incantamento
cado nell’intolleranza ma non mi va
di cadere ho poche cicatrici e da ridere
ma le ho nella testa e nelle gambe
(niente di allusivo) (o quasi) ora
proprio qui dovrei fermarmi ma no
non mi fermo bene sam và sicuro
perché dovresti fermarti sono stanco
scaricato per questo dovrei fermarmi
procedo in riserva rischiando di dovermi
fermare in luoghi scogniti di arrangiarmi
ricapitolando tecniche e archeolatenze
ma poi anche se resto sulla strada
non è così ho una lieve corrente
sottomarina di delicatezze amnesie
esplosive e coagenti ma non c’è
connessione con la superficie non la trovo
non serve da qualche parte affiora
subito una mano su cui riposo
potrei affermare che la fortuna è
la mia distinzione araldica
ho fiducia nella volubile pazzia
del vento che sposterà la cosa
e così la putredine è sempre
da qualche altra parte e se invece è qui
la guardo ed è fatta diventa zabut
io sono un adattabilissimo disadattato
uno zzà-bùm e ciondolo tra i figli
e tra le madri sollevando disagi
col semplice assaggiare un bollito
sfiorando con la punta del dito
un filo elettrico allentato allineando
il dorso di un libro chiedo dove
si trova anagni accostamento che
minaccia scandali e forse le urla
antidemografiche hanno origine in
tali luoghi e così io sono uno che
si stupisce per mancanza di entusiasmi
invito chi può a farsi una famiglia
avere figli argomentando che ciò è meglio
di qualsiasi lezione e serve a tastare
la libertà se c’é anche il tatto efficiente
accarezzo la barba di Pitagora
alleno l’occhio e le dita con un modello
del 2° teorema di Euclide che m’aiuta
ad attraversare la strada nell’ora di punta
sono farcito di catechismi di scorci cittadini
e stagionali roba che pesa poco
ben rodata funziona sempre e vale più
di quel che conta perciò se capita raccolgo
da terra oggetti schegge misteriose
per la loro leggerezza e pesantezza
e per lo scarto tra forma volume e peso
arrivo a casa carico di libri di fantascienza
spionaggio fumetti settimanali nuovi
mensili di fotografia di architettura
moda controinformazione jazz islandese
jet-set da gettare get-up è una gioia
che allarma le donne della casa di cui
per abusato strofinio non so più nulla
così per contagio ho dimenticato come
guardare e salutare queste donne
così per estensione le stoffe ritornano
alla loro foresta amazzonica i colori
sono umidi gl’impasti tiepidi i disegni
arruffati il contenuto impressiona
per la sua veloce tensione e per
l’imprevedibilità dello scatto ho le mani
cadute la cuffia nella pozzanghera si sto
in dormiveglia a letto leggendo roba
canadese dura mi scelgo da me le mie
punizioni nel primo pomeriggio pilucco
storici a notte alta bracco molecole
di filosofia del linguaggio nelle altre
i magnifici stracci che ho elencato
ripartisco il bottino con equità
adattata a gli anni occhi naso orecchi
innanzitutto e non per ossequio a una
gerarchia gli orecchi perché sono un po’
sordo gli occhi perché sono gli occhi
il naso perché è particolarmente ingordo
e con questi mi riempio lo stomaco
poi lingua polpastrelli mazzapicchio
qui non ci sono colori ma linee
il più delle volte senza sbocchi
infine tutta sola e su tutte la pelle
e questa provvede ai bisogni intracranici
alla mente non so bene con quali organi
peptonizzo e digerisco direi coi muscoli
e coi nervi le secrezioni interne e le spinte
del sangue provvedono al progetto
all’analisi al metabolismo mangio e bevo
ma coltivo la certezza che l’aria sia oggi
sufficiente e domani di troppo infine
una composizione variabile di luce e buio
contiene energia infinita ma mi rassegno
so che l’attuale precarietà è transitoria
e che la prossima sarà più tenace
forse più carezzevole davanti
nei quarti superiori ovipara
presumibilmente educata nel senso
che entrando da una mancia
paga il biglietto all’uscita
ferma sui gradini con la luce di lato
che illumina il fianco destro pieno
a metà sarà perciò la precarietà
armata di mondanità modulata
che mi dona alle ossa conflitti
che adottano i costumi dell’inganno
mi assiste come posso e io tento di non
scacciare da me questi squilibri