al direttore dal fronte in incognito

020704

1
estate piena direttore mattinata
fermo sullo stradone al distributore
sveglio ma pieno d’incubi guardo
dietro i cespugli un coniglietto-lampo
poi il deserto che è lontano oltre
quella salita in fondo alla valle dietro l’orizzonte
nuvole nere un dolore da ridere
al gomito sinistro direttore mi allontano

non voglio ascoltare le proposte audaci
dell’ufficiale le risposte di saddam
le esplosioni accanto al ronzio dei passaggi
ho perso senza sforzo tutto quello che avevo
nel mio quartiere tra le mie viste più ricorrenti
ora sto in ciabatte leggiucchiando
sfoltisco la barba il mento i baffi
mi allungano la faccia sono husserl

sono a lubecca col palin le spalle al sole
pallido di kiev bancarelle e sgombri alla carbonella
a costantinopoli mi distrae da empedocle
un’irritazione al collo studio catullo lucrezio
l’amore gli amici le divinità del mondo antico
i tuffi alla verginemaria in effetti non voglio
pensare non serve non fa sangue
meglio la ricotta fresca e poi non ho sofferenze

tutti liberi dappertutto dottamente poesia
neoliberal il dormire delle vecchiette bionde
ossigenate spurgarsi la testa dentro la testa
la casa fuori della casa un fiore si un fiore
no direttore daniele ritarda ancora so così
che il ministro ha cancellato l’invio della croce d’oro

2
allungo il verso fino ai piedi del passante assassino
nell’apparenza è un calcolo che presumo sbagliato
dei piedi infatti non c’è traccia nell’ombra della sedia
mi ispira una riproduzione su camicia di flanella
del davis milesius allungata sotto il mento dell’altopiano
che comodo nell’amaca canta perlopiù in dialetto
non ho ritegno a sbagliare l’inciampo sui piedi del comò
con la caviglia che è di necessità scontro tonificante

queste ottave schiattano nell’attraversamento
della carreggiata che scorre dal monte al porto
a trattini c’è il fischio della sicura che salta via
e c’è come si trascina sull’asfalto il richiamo
incomprensibile dell’ombra del furgone-frigorifero
senza notare che il conoide di tuono meccanico
contro la facciata del palazzo disegna un delfino
a trattini neri in acqua azzurra che va ribollendo

il sangue non ha più i capelli brizzolati del versante
coi quadratini che imprigionano l’occhio del rais
se non somigliasse ai versacci la gratitudine che guarda
i vantaggi legati alle scuse che si ritagliano il meglio
della duna dove massimamente m’impone il vedere
il diavolo nei bei colloqui che si faranno col coatto
solo i miscredenti guardano il portapenne sigillato
nella paura di chi non bada più ai tocchi di cervello

il principe degli angoli in penombra ha detto che ci sei
e io non discuto il calcio che da oriente arriva quassotto
faresti meglio a partecipare che se poi lo scontro
nel pomeriggio di ogni giorno dimenticato all’aurora
i venti variabili nel nervo ottico si fanno suoni deboli
delle tue riserve pattuite al fronte e pronte allo scoppio
della paura in cui disfi l’idea se attraversi piazza croci
nella comunione di due piaceri con senso dimezzato

chirurgicamente adottando l’onda dell’agguato banibani
tra i boschi dàài vieni cerchiamola insieme la tradizione
ora che ti prepari a lavarla dopo averla stesa al balcone
la differenza sta sulle spalle in una visione continuata
dell’accordo che ogni maggioranza suggerisce alle strade
dove le notti dello scafo inviano manovre d’altomare si
si sarà ammessi allo scialo in forza dell’indice
che difende a sua volta dagli assalti

nell’arco ribattuto della notizia

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