IO SONO L’OROSCRAPO II

Dicono che ho bisogno degli altri più del normale. Ma che ho un comportamento urticante, spinoso quanto un ciottolo. Vado sconcentrato al lavoro, scostruisco quale e tale bambino i giocattoli. Rido se posso fare male agli amici; con un ghigno che prefigura il momento in cui, nel mio tritacarte confidenziale, distruggerò i documenti dei loro pubblici apprezzamenti. Tra gli amici salvo solo me, mio padre e uno sconosciuto che si chiama Al. Peggio di un amico. Un impostore che si è fatto carico immondo di caldeggiare la mia messa al mondo. Capita di rado mi visiti, epperò la sua rada invasione di campo è una ragione in più per riattare l’arte sana del disprezzo. Che dire d’altro? Raccolgo patelle dagli scogli compulsivamente. Batto, per quantità di patelle scollate, qualsiasi macchinetta sparapiattelli. Prima di rientrare le vuoto nel sacco segreto e mi presento a mia madre a mani vacanti. Come, nemmeno una? e mi prendo il rimprovero peccaminoso di colei che accuserò sino alla morte di avermi fatto. La mia stanza ricorda quella di un collezionista di bottiglie di vetro. Reperti che distruggerò quando avranno raggiunto il fragore di una bomba artigiana, imbottita a patelle e scaglie di unghie. Ringrazio quelli che ancora mi cercano. Ho bisogno di loro. Con loro tento di raggiungere il grado zero della gentilezza efferata, lo stracolmo di affetto, perculandoli particelle-patelle, neutrini mio malgrado. E’ più forte di me e del bisogno stesso. Dentro la corazza i miei organi vitali si saldano sciogliendosi in risata. Latta e oro, oro e pietra, pietra e piume, oltre il peso e la legge di gravità, la stessa corazza si liquefa nel sogno di liquefare Al. Al lavoro Al.

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