chiarissimo
come tanti colleghi e amici spesso le hanno già ripetuto
anch’io sono contento di essere stanco più di me
che della mia casa essendomi trovato a otto/nove anni
in un’attività dello scrivere che ancora persiste
ho avuto comodo di sperimentare soprattutto
le virtuosaggini del niente e di assecondarne
gl’innumerevoli palpi che in continuazione si aggrappano
a (e accarezzano o semplicemente fiutano) siti oggetti
persone presumo che il legame tra il niente e lo scrivere
sia una metafora utile a magnificare le doti di ubiquità
di entrambi – dello scrivere infatti è sempre percettibile
la natura d’artificio – il niente dopotutto mi pare
un artificio mascherato
lo scrivere mi dico poi è innegabilmente nient’altro che
l’arbitrarietà del significare – sicché le significazioni
dello scrivere sono sempre governabili dall’arbitrio
c’è mi concludo una omogeneità grammaticale tra
lo scrivere e il niente e la stanchezza di me il che
mi rivela a me stesso in una condizione davvero
senza abitudine – quella di essere un corpo che affiorando
dal corpo-sconosciuto attraversa la propria vita
(o il proprio esserci) e si rituffa nel corpo-sconosciuto
insomma ogni mia certezza sta fuori di me sta
nell’esserci della mia casa – ecco perché sono stanco
e perché non posso non certificarlo