Ci fu qualcosa di indissolubile nel chiodo che mi battei al centro della fronte, un ciuffo balbuziente di capelli si impiastricciò diventando ruota di pavone. La appuntai all’indietro con una forcina, di venerdì sera. Continuai a respirare, ma implacabilmente, nell’avamposto, mia nuova casa, scardinando le dune, con il chiodo ficcato nella storia. Ma i primogeniti hanno sempre una sorte amplificata, la placenta che li accolse mai fu gialla, ma fundica, artigliata a un utero di timori. Ospitai comunque le tue labbra a casa mia, ne feci un esilio di canneti e paludi, dove fiorivano crani, e passo dopo passo li ripetei come i grani di un rosario ateo.
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