Mi capitava, anche perché abitavo in via Salvatore Meccio a cento passi da L’ORA, di attardarmi da solo nella stanza dei miei capi di “terza pagina” Claudia Mirto, Gabriello Montemagno, Guido Valdini (di cui fingevo essere il “vice”). Nicola Cattedra era in quel tempo il direttore, burbero ma incapace di nascondere predilezioni e insofferenze: un certo professore universitario ogni volta che tentava di entrare veniva regolarmente invitato a uscire con coda di improperi e poi, a porta chiusa, le nostre complici ridacchiate. Mi sorprese a tarda sera con una giornalista spagnola. La giornalista spagnola, da qualche giorno a Palermo per una inchiesta, aveva fatto sapere a mezza città che scopare era uguale al vizio di mangiare. Mi sorprese, entrando come al solito a bomba, con la testa affiancata alla sua mentre stavo correggendole Sascia con Sciascia. Disse “scusate”, indietreggiò e chiuse la porta delicatamente, ridacchiando presumo. Perché scrivo questo? Perché ho le palle rotte di tutti questi memorialisti che a ogni morte ricordano il morto, sentendosi obbligati a spezzettarlo e ogni morto diventa un ritratto di Braque o di Picasso. Che palle. Ricordatevi dei vivi e dimenticate i morti. Mettete pure nel conto che il mio ricordo non sia vero. Che faccia parte del puzzle della nave America.
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