PENSANDO GENOVA

“… Comincia cosí. Si allenta un rivetto, uno degli otto che dovrebbero bloccare il giunto fra due travi portanti sul lato ovest del pontile. Quest’anno se ne sono spezzati già cinque durante le mareggiate di gennaio. Si sente un lieve tremore sotto i piedi, come se qualcuno avesse lasciato cadere una valigia o una scala a libro nelle vicinanze, ma nessuno ci fa caso. Adesso ci sono due rivetti invece di otto a reggere tutto il carico. Nell’acquario accanto al porticciolo turistico i delfini si rigirano nella loro prigione azzurra. Dodici minuti e trenta secondi piú tardi si spezza un altro grosso rivetto e una sezione del pontile si abbassa di un centimetro abbondante con un lieve tonfo. Le persone si girano a guardarsi in faccia. La stessa temporanea riduzione di peso che si percepisce quando un ascensore comincia a scendere. Ma col vento e la marea il pontile si muove sempre, perciò ricominciano tutti quanti a mangiare frittelle d’ananas e a infilare monetine dentro le slot machine. Il rumore, quando arriva, è come quello di una sequoia abbattuta, legno e metallo sotto pressione che si piegano e spaccano. Tutti sentono il ronzio e il sussulto dei pontoni, e si guardano i piedi. Il rumore cessa e c’è un attimo di silenzio, come se persino il mare trattenesse il respiro. Poi, con un fragore biblico di tuono, un ampio semicerchio di passerella viene scagliato verso il mare dal peso delle travi spezzate al di sotto. Una donna e tre bambini fermi vicino al parapetto cadono subito. Altre sei persone crollano una addosso all’altra dentro il mezzo cratere di legno in frantumi e di lí in mare. A guardare attraverso la catasta nera di assi e travi si vedono tre sagome che si dibattono nell’acqua scura, una quarta che galleggia a faccia in giú e una quinta ripiegata su una trave coperta d’alghe. Gli altri sono intrappolati chissà dove sott’acqua. Sul pontile un uomo lancia in mare, uno dopo l’altro, cinque giubbotti di salvataggio. Nel fuggifuggi altri villeggianti lasciano cadere vari effetti personali e ben presto la passerella è invasa da bottiglie, occhiali da sole e cartocci di patatine fritte. Un cocker si mette a correre in circolo trascinandosi dietro un guinzaglio azzurro. Due uomini stanno aiutando un’anziana a rimettersi in piedi quando un altro pezzo di impalcato cede sotto di loro. Il piú piccolo, un tipo con la barba, si aggrappa al piede ad artiglio di una panchina di ferro senza mollare la donna finché un ragazzo ancora adolescente riesce a sporgersi verso il basso e li aiuta a risalire, ma quello alto con le bretelle e le maniche della camicia arrotolate scivola lungo l’assito deformato e a un certo punto viene bloccato da uno spuntone di ringhiera spezzata che gli trapassa le reni. L’uomo si dibatte come un pesce, ma nessuno è disposto ad andare in suo aiuto. Il piano è troppo inclinato, la struttura non è abbastanza sicura. Un padre fa girare il viso alla figlia dall’altra parte. Gli uomini che manovrano la ruota panoramica cercano di sgombrare una cabina dopo l’altra, ma quelli bloccati in cima gridano e quelli piú in basso si buttano giú, non avendo nessuna intenzione di aspettare il proprio turno: alcuni si storcono una caviglia, uno si frattura un polso. Sulla spiaggia tutti si alzano a guardare il vuoto che perfora il paesaggio familiare. Le luci colorate continuano a lampeggiare. Arrivano le note flebili del Valzer dell’Imperatore. Cinque uomini si strappano di dosso scarpe, pantaloni e camicia, e si gettano tra le onde. Una fila di sette belvedere ornamentali è rovinata al centro del pontile. Il lato ovest di questa dorsale adesso è impraticabile, perciò chiunque si trovi dalla parte del mare cerca di passare attraverso il collo di bottiglia sul lato est per raggiungere i tornelli, il lungomare e la salvezza. Nel punto piú stretto la gente comincia a perdere l’equilibrio e a cadere, e chi riesce a rimanere in piedi è costretto a passargli sopra oppure finisce a terra e viene calpestato a sua volta. Sessanta secondi, sette morti, tre sopravvissuti in acqua. L’uomo con le bretelle e le maniche arrotolate è ancora vivo ma non lo sarà per molto. Otto persone, fra cui tre bambini, vengono schiacciate dalla folla che gli si riversa addosso. Uno dei belvedere ora è tutto inclinato, con la struttura metallica cosí deformata che le ventidue finestre esplodono una dopo l’altra. Il gestore del pontile ha aperto il cancello di servizio di fianco ai tornelli e i fuggiaschi si riversano sparpagliandosi sul selciato, arruffati, sanguinanti, con gli occhi sbarrati. Un bimbo piccolo viene trasportato in braccio da suo padre. Un’adolescente il cui femore destro frantumato le ha perforato la carne ciondola aggrappata alle spalle di due uomini. Il traffico sul lungomare si blocca e la gente si affolla lungo il parapetto. Sul litorale c’è un tale silenzio che questa volta il rumore lo sentono tutti. Due minuti e venti secondi. Prima crolla il belvedere, trascinandosi dietro la struttura metallica e l’impalcato. Quarantasette persone finiscono in una trebbiatrice di aste e travi. Ne sopravvivranno solo sei, tra cui un bambino di sei anni che i genitori avvolgono con i loro corpi durante la caduta. I cavi gommati che trasportano la corrente lungo il pontile sprizzano scintille come fuochi d’artificio, lacerandosi. In fondo si spengono tutte le luci. L’organino si ferma con un sibilo. In mare gli uomini che stanno andando al largo per soccorrere gli altri vengono sollevati dal piccolo tsunami generato dalla massa di materiale precipitata in acqua. Passa sotto i loro corpi e va verso la spiaggia dove fa scappare tutti quanti sopra il segno dell’acqua alta, come se portasse con sé il contagio dell’evento che l’ha causato. Il gestore della sala giochi è seduto nel suo ufficetto in fondo al pontile, col ricevitore ormai muto schiacciato contro l’orecchio. Ha venticinque anni e non è mai stato nemmeno a Londra. Non ha la minima idea di cosa fare. Il pilota di un Cessna 76-D bimotore guarda sotto. Non riesce a credere ai suoi occhi. Fa una virata inclinandosi e gira intorno al pontile per controllare meglio prima di contattare via radio la torre di controllo di Shoreham. Il pontile adesso è mozzato in due, un troncone fronteggia l’altro e in mezzo, nell’acqua, c’è un groviglio di legno e metallo da quarantacinque tonnellate. Alcuni di quelli bloccati sulla metà che dà verso il mare si affacciano sul bordo col desiderio disperato che qualcuno li veda o li senta e vada a salvarli. Altri stanno indietro, cercando di capire qual è la parte piú affidabile della struttura. Tre coppie sono intrappolate nella galleria degli orrori e sentendo i rumori all’esterno certo temono, se mai ce la facessero a uscire, di trovarsi davanti la fine del mondo. Nella sezione verso la terraferma due persone sono distese immobili sull’impalcato e altre tre sono ferite troppo gravemente per muoversi. Una donna scuote il corpo del marito svenuto come se si fosse addormentato e rischiasse di fare tardi al lavoro, mentre un uomo con gli avambracci tatuati insegue il cocker terrorizzato: correndo, i due disegnano un grande otto. Un’anziana è stata stroncata da un infarto e se ne sta lí seduta su una panchina con la testa inclinata da una parte, come se si fosse appisolata perdendosi tutto lo spettacolo. Dal labirinto della cittadina arriva un suono flebile di sirene …” Mark Haddon, da “I ragazzi che se ne andarono da casa in cerca di paura”

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