Maso è seduto per terra nella penombra del salone. Dinanzi a lui un raggio di sole obliquo. Giochi di luce nella penombra, trastulli ottici: Trottole di Newton e prismi. Raggio scomposto nello spettro cromatico. I colori dell’iride che ruotando si ricompongono nel bianco. Nello sfarfallio una immagine sfocata.
La sua voce registrata racconta:
Sogno: entro oltre il grande portone nelle stanze aperte contigue vuote e bianche. Cerco qualcosa nella tasca dei pantaloni, qualcos’altro cade per terra e rinunzio a raccoglierlo. So che le suore lo faranno alle mie spalle. Dopo qualche passo due religiose mi raggiungono e mi consegnano l’astuccio dei miei occhiali rotti. Qualcuno potrebbe aggiustarli. Una suora magra dal viso sottile e della quale sono incerto. Però è lei che sa come vanno le cose nell’officina, su e giù per le scale della casa e per le strade del paese.
Voce della ragazza del melograno: Andiamo?
Maso spegne il registratore.