L’ANACONDA

Da un volo di sette piani è quasi impossibile potersi salvare. Da uno di quattordici, invece, o di quindici, le probabilità di sopravvivenza aumentano anche del triplo. E’ certo infatti che in un salto di venti metri (tanto misurano pressappoco sette piani) non si abbia il tempo di “organizzarsi” per la caduta e in genere si piombi a peso morto, e come capita, sul marciapiede. In quaranta o cinquanta metri, al contrario, l’angolo d’impatto può essere pianificato. Alcuni sciagurati così tentano di assumere la forma del tuffatore – all’indietro, rannicchiando le gambe tra le braccia e puntando i piedi – altri la forma della sfera, altri ancora la posizione del coniglio o quella fetale (una delle migliori). L’obiettivo che le accomuna è ovviamente quello di proteggere la testa e il torace, a ragione le parti più importanti da salvaguardare, mentre spalle e fianchi sono considerate zone da sacrificare. Altro elemento comune è il sopraggiungere di visioni. Chi ha la lucidità di prepararsi all’impatto ne subirà il paradosso dell’effetto enteogeno, e andrà incontro a allucinazioni psichedeliche. Uno pensava di lanciarsi in un volo che sarebbe durato un anno e mezzo. Uno, che la sua anima si fosse espansa fino alle sorgenti del Fiume Azzurro.

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