mi tenevo a una distanza di pronta difesa. ma non ero ne molto ne poco preoccupato. le prove di collaudo le avevo fatte sul cavaliere sulla padrona di casa sull’assessore comunale fornitore di ninfette sulle ninfette stesse.
durante l’attesa ribadisco la nozione elaborando grafie.
IO VADO IN MEXICO.
per non innervosirla sto attento a non imitare il ritmo e la voce del bambini. lei prende il nastro e se l’avvicina paurosamente all’occhio. lo scorre.
E’ MIOPE E’ TUTTA MIOPE
per prova avvicino la mia macchina alla sua. aliti della sua calura mi assaltano. afrori di muschio oceanico che hanno tentacoli interminabili e resistenti. traversando nari e bocca mi esplorano l’interiore negli angoli e negli scivoli appropriati. anche il mio cervello si abbandona all’impresa con immediato entusiasmo. soltanto gli occhi restano freddi vegliardi. da tale postazione uncinano poro su poro la macchina che gli sta difronte impegnata a rilevare quattro parole ripetute su un rotolo chilometrico sorda a tutto il resto.
mi palpo. sono gelato asciutto. forse sono troppo duro dove dovrei essere morbido. flaccido dove dovrei essere apprettato.