Vengo a te, capomastro, attingo a patiboli
Che agitano chiome come mirti allo iodio
Poi busso alla torre stremata, il geniere
Ha due scalpellini con sé che brucano edere,
Ad ogni uncino un girone…
Mi si fa di faccia un muratore dell’odio che dice:
« Questi mattoni si devono cuocer nel fiele
« Sennò non si possono né interzar né disporre! »
Sembra che parli da fiala
D’azzimi parole che mesce
Nel vino di Anubi nel pane di Hor…
È sullo spalto della città dove s’allenta ogni iato
Il siliquastro di un coito che a quei penati
Recitò il suo teorema, assalse la curva del patio
D’Argo che geme sul passo indiavolato e carraio
Dove un’uva di fica versata in un torrido calice
Dista una versta da Atene e dall’agoraio salmastro
D’un oracolo in pena…
(da Frammenti nel dialetto della Focide)