Se tolgo a quel vetro vieto
D’oblò la sua brina d’un’erre
E all’aggettivo l’armatura sul petto
(Come la loggia della fuliggine al pénero
Del camino…)
D’un’i macilenta alle terre
D’ignominia condotta ormai in cenere,
Mi ritrovo ignominiosamente nel veto
Del fiero frutteto… – fero fers tuli ferre… –
Che fa oscure le vene al cammino
Delle nozze verso le tue unghie carminio
Mentre quelle di tuo marito assai nere
Strofinano padelle rovistano cetre
M’indovo sconsolatamente nel feto
D’un interdetto a cui mezzo tu impetri
« Fai retromarcia » dici, « il Tuo encomio,
« Serpe, non stinge più sul Te stesso demonio »
(Fuggiasco d’un petalo brivido a acerrimi
Fiori di melo con un’unica tonsilla extra-sede
Mordicchiata da un dialetto di ofiti in esergo
Nella tonsillectomia dei suffragi dell’Eden!)…
Se di mela, tant’una d’esser tutte, ne svelgo
Quella in combutta col primo quarto di luna,
Così da una sepolcrale di lapide scelgo
Chi c’è di guardia, se c’è il serpe sull’ulna
Del guado che mentre sibila con lo schiocco del lapis
D’un meteoropatico mi dà il meritato buongiorno.
A un belvedere nel commutatore del virus
Col lapis del meteo c’è sbiancato quell’iris
Che per l’infrazione spoglia il suo Eden
Soffuso in un crepuscolo di torvo inchiostro
C’è un riso che sghignazza sui violoncelli
C’è il corpuscolo di una tozza matita
Che con la sua mina guaisce sul foglio…
(È di serpe che capì il veleno energumeno
Nei cui sifoni c’è una mela che strepita
Ed estrae dal Lied promulgante il suo veto
Le strofi in un frutteto che ha un imperterrito
Melo da un meleto anzi né pur da quello
Ostruente a forza in una grammatica il puerperio –
Menomati senso e oreficeria, sotto l’ascia
Del noumeno… – d’una sintassi che si marita anche s’ésita
A una setta d’ofiti degli interregni?)
Se mi sveglio senza affanno protratto alla gola
E la mia prostata stringe una cavità in meno…
In articulo nuptiarum diei
C’è un’iride,
Come negli acquartieramenti pidocchiosi di Dite,
Agamennone, da nozze, anche agli achei
Che insieme a una monastica vera non brilla!
Centurie di uccelli che dite che dite:
C’è un Lied che s’imbroncia al cordoglio degli alisei
Un poggio di ulivi spodestato da ulcere
Del vento di Giuda
Quando il valloncello del rimorso traversa e terrazza
La stola lenta del cucco
Col suo flagello acuto e amaro di sibili.
(da Frammenti nel dialetto della Focide)