Nel genio asintotico in cui si ritrova la sua testa c’è spazio per la pioggia che si infessura, sussurra non avere mai sopportato le stagioni, né la lingua sottopalatale, né le strade senza punta, né i cancelli dei denti che sono solo letteratura. Offre rosolio per confondere l’insopportabile aria naturale, il tuffo è miscredente, niente puoi aspettarti dall’acqua di una piscina se non il morso del ragno o il tanfo di un cadavere o un filo elettrico scoperto o una idra priva della sua testa più bella, o il sorso di un fiume, o l’accidenti che ti capita ogni giorno, o l’arrosto di lattuga, o il vizio diventato fortuna, o l’ingombro di un corpo che ti insolentisce spacciandosi tuo parente, o le belle strisce bianche nel segno del sorpasso, o le luci accese rabbuiate dal controsole, o le rotelle che sgonfiano le gambe, il naso che sembra una gru in difficoltà, le isole figurine, l’ascesso di tosse, la telefonata per errore al barbiere invece che all’ambulanza, il torrido arrivo dell’inverno che amplifica il rumore della stagione, il sangue che non scorre e si ferma a pochi metri dalla fermata del naso, l’ascesa per grazia di dio, il silenzio dei magnifici rumoristi del cinema nell’ultima settimana di settembre, l’ascolto sordo di un sordo.
Il perché è tutto questo senza questo, schizza da scarpe che schizzano nelle pozzanghere delle prime piogge d’autunno.
La bisogna, i bisognini li chiama il landolfo, di farla presto, di crearlo subito il nulla, anticiparlo prima che la lucciola lo mangi e il container della patta si freddi al sole.
Oppure, assaggiare i tuberi dei gigli, le farfalle in fiore, i topi seppelliti nei sacchetti di veleno alla fragola e gli anni uccisi.
Tutto dentro la testa è genio asintotico, lampada di aladino. Spende e spande e splende in qualsiasi ora del giorno. Se oggi è nuvolo e domani è nuvolo e dopodomani è nuvolo ed è infinitamente nuvolo, il genio puo’ rigenerarsi pure dall’inchiostro. Il calamaio mio nonno lo tiene sempre pronto dentro il cassetto della sua scrivania verde maggio.
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