Da Shakespeare sin a Schubert…
La pesante busta che la notte ebbe lasciata
Nella buca delle lettere del sole
Non declinò punta nuova né al sciupo volle
Nel baratto l’inconveniente di parole…
Quel che ci lascia il postino è a pena un ticket
Di spine che ci illudé esserci in là un fiore
O un petalo energumeno sfasciato sullo stilo
Quel che ci lascia appena è un tanto d’osso
Autosilo a un soliloquio… Quia umbræ?
Se su noi vaneggia, ñacurutú, la pesadumbre
Del cielo sunteggiato dalla sugna
Quel che restò è un violoncello di chiodi per rea spugna
Che celebra della viola da gamba il de profundis:
Che c’alberga in occhi di Perdìta o di Despìna
Negli acidi dei corali coralli e dei cuor vermigli
Di Winter’s tale o di Winterreise?
Il colùbro non ha veleni in carabina
Che per Isabella Laudòmia o Margherita
Per qualsiasi femmina di un macchiaiolo o un fauve
Fauverina se il mestruo zompa su una profiler
D’assassina!
(da Frammenti nel dialetto della Focide)