il cimitero delle metafore
dare alla pazienza la fisionomia della collera intensi¬ficata sudando parlando catatonicamente. fluidi sor¬risi e diti-trivelle dentro buchi umidi e zi¬grinati. cercando in punta dove sta acciam¬bellato un odilon-oc¬chio e le propaggini pilifere del telencefalo.
nel senso figlia di tagliuzzarmi la percezione eredi¬tata o non riuscirò più a salire quei quat-tro gradini che portano qui dove tu e io stiamo facendo così.
una pazienza signora. epperò col muscolo acerbo ma an¬cora perequativo e spugnoso che se si avvi¬cina sia pure con equilibrio è senza alcuna arro¬ganza morfologica. un ‘fatto’ di quelli estrema¬mente tali: subito essa pa¬zienza vi s’impalma e vi si spreca tutta.
mi piacerebbe molto pensare che io stesso posso anche essere un cretino. ma poi sospetterei che tu lo pensi già da tempo.
ed é proprio questa la ‘linea’ che avevo anche pensato in autobus (il 25 nero)di provare (quasi alla robbie gril¬let) elencandomi i presenti cosi:
4 donne: nonna madre figlia nipote. nipote di po¬chi mesi in braccio alla madre. la figlia ha un ottimo sedere. oc¬chi azzurri sguardo furtivo e ovviamente losco.
una tizia 37-54 anni con cinque borse bianche di plastica zeppe di maglieria. sue continue storie per procac¬ciarsi un posto comodo e non distur¬bare. pesanti oc¬chiali di vista.
prima impressione sgradevole. poi però una sua speciale aria di stanchezza e di pulizia mi ri¬cordano syl che torna dalla spesa con pacchi af¬faticata e seria. tristezza tene¬rezza pensieri sulla mia assoluta incapacità di com¬prendere una tale grinta biologica.
una nonnina chiara ordinata. capelli fini e lisci bianco-oro tirati sulla nuca in due strettissime trec¬cinette. occhiali bifocali con montatura di metallo chiaro e brillante. giocherella con la nipotina che sta in braccio all’altra.
arriva un tale 28-30 anni in camicia pantaloni scarpe e cinghietta dell’orologio neri. chiaris-simamente per morte del padre o della moglie. aria distaccata e geosin¬clinale.
una ventitreenne in carne passa si accomoda gira intorno lo sguardo esplorando dettagliatamente tutti. ha bei lineamenti ma volgari.
un ragazzo sui 13 anni appoggiato alla bussola anteriore parla ad alta voce con qualcuno che sta alle mie spalle. poi ghignando canta tu paghi e io me lo lecco.
sono quasi le 15. caldo poderoso. leggere molle d’aria rammentano che qualcosa resiste che si può anche farcela a superare questi varchi abbacinati e cucinati. che sotto il cimitero stanno le giun¬gle e sotto le nuvole e sotto bei strapazzi.
si si si si in molti modi stiamo tornando alla bradità dell’adolescenza post-bellica. tutto si compone con la maggiore forza dovuta all’assenza delle domande. si compone e continuamente scatta. e non c’é alcuna noia perché intelligenza sag¬gezza follia sono vinte dalla mancanza di curio¬sità del tempo coerente.
oh si riacquistiamo se mai l’abbiamo avuta coe¬renza con vertigine.
e ora dispongo della seguente proposizione: non sfor¬zarti non sforzarti mai più (sarà per questo che abbiamo smesso di amare gide. la sua compia¬cente infelicità)
scendo dall’autobus. il caldo é più vorace.
eppure non sudo.