Palazzo di Cenere (cit. 3)

Approdarono sulla gola ovale dei mari di Balarmu. Come bollissero in quel mattino di paglia le torrette sulle mura di protezione. Turbolenti, tra la pizzuta e le pinete d’Altofonte. Avevano riaperto il guscio della rivendicazione, ondeggiando sotto le catene e gli anelli dei moli, di fronte a piazza Khalisa, in trincea. Donne e infanti a far baldoria coi collari chiodati, i sonagli di ferro, le catene e gli anelli. In prossimità della nave gli zatteroni e le carrozze di sangiovanni. Nelle onde del castro sulla fortificazione fischiava una linfa inerte dal Cannìzzaro; schizzava, quasi a respingere Fakhjr tra le catene del porto. I latini avevano accecato l’orizzonte almohado, con la pretesa di procastinare oltre il futuro; come dire, procrastinandolo in un futuro procastinato.

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