Rispondere alla domanda era obbligatorio. Una regola dell’agenzia.
La domanda era semplice: “In che modo ti prendi in mano il pene mentre fai la pipì?”
Contrariamente agli altri candidati, il nostro era tutt’altro che imbarazzato. Interrogato, aveva risposto con sincerità che, durante la minzione, lui, il pene, non se lo guardava neanche, che fingeva proprio di non avercelo, figuriamoci prenderselo in mano.
L’impiegato dell’agenzia era trasalito. “Parla sul serio?”, aveva chiesto.
“Sì, perché?”
“Perché nella maggioranza dei casi la gente se lo afferra virilmente. Anch’io.”
“Problemi suoi”, aveva ribattuto il nostro. “Io invece non me lo guardo neppure”. E un attimo dopo aveva aggiunto: “Spero comunque che quest’informazione non pregiudichi nulla.”
L’impiegato era un tipo sulla quarantina, calvo, grassoccio, media statura. L’espressione bonaria del viso dava all’insieme del suo corpo un’aria rassicurante. “Qui niente pregiudica nulla”, gli aveva detto in tono pacato. “La mia era solo curiosità. A proposito, mi spieghi una cosa: se non interagisce col suo pene, come fa a orientare il flusso della pipì? Nel senso, riesce a urinare senza schizzare in giro?”
“No”, aveva risposto.