C’è questa cosa, dottore, che io la notte volo, ma no che volo per dire, per sognare, no – io volo davvero, ma davvero. Guardi, ho qui una falena presa ieri sera. Non prova che io abbia volato – dice lei. Va bene. E questo nido di nibbio? Neanche questo. Ora le porto una stella cometa, un satellite, un asteroide, e glieli faccio esplodere sulla scrivania. Senta dottore, non vedo altra alternativa al chiederle di venire con me a volare. Si trovi davanti alla Conad questa sera alle undici. Undici, undici e un quarto – io ho un qualche problema con gli orari. Se non dovesse vedermi vuol dire che ho dimenticato l’appuntamento, che sono già in volo: misero, di spalle umili, tra Volterra e Lajatico, per cieli neri e nuvole non benigne. Guardi, le lancio lo spoiler: io normalmente cado, male, intorno al cimitero dei Marmini. Mi spacco braccia e gambe e sovraccosce. Tutte le mattine, verso le sei, cado rovinosamente. E poi punti di sutura, ingessature e antibiotici.
E tutte le sere, ingessato e rotto, e suturato e infetto, ci riprovo.
Almeno finché ce la faccio.