Sempre più spesso sogno senza dormire, non distinguo le persone incontrate per strada da quelle nel sogno; è un continuo fluire di pensieri dalle loro teste alla mia. L’uomo venuto dal mare dice che non devo preoccuparmi, è un dono per pochi, una risorsa, la chiama. Poi mi bacia col miele in bocca, le tempie e le cosce s’infuocano e non penso più a niente. Comincio a credere che esista un varco oltre il quale la vita si dilata assumendo forme improbabili; solo alcuni hanno il dono di attraversarlo, di andare e tornare, indifferentemente, cogliendone le opportunità. Forse è questo che intende l’uomo venuto dal mare. Mi accorgo però che la dimensione in cui faccio più fatica a restare è quella che definiscono reale; mi sento una straniera, una reduce di guerra incapace di comprendere il senso comune della vita, il valore delle priorità, i concetti di vita, di morte, di realtà. Il limite, non so più dove sta il limite. Sono così appagata dalla dimensione del sogno da percepire di appartenere più a questa che alla dimensione reale in cui sono costretta a tenermi tutto dentro: chi sarebbe disposto ad ascoltare una sopravvissuta che ha fatto, e continua a fare, un viaggio ai confini del credibile? Lo hanno detto anche i medici, la mia storia ha qualcosa di miracoloso e inspiegabile, e l’inspiegabile è una minaccia, appartiene alla sfera del diverso. L’unica in grado di comprendere è la donna che viene a trovarmi quando la lavastoviglie suona. Lei riesce a viaggiare senza limiti, a raccontare senza dire una parola; lei ha la musica dentro. È la voce impiastrata di Tom che sputa, sporca, mi bacia e poi dice graffiando: questa vita è un trucco, un sogno al contrario, si prende gioco di chi dall’altra parte non c’è mai stato.
UN SOGNO AL CONTRARIO
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