* * *

 

La luce di fine settembre filtrava dall’unica finestra dell’ufficio, illuminando timidamente le macchie d’umido che infestavano la vecchia carta da parati appiccicata ai muri.

Jis camminava avanti e indietro, l’espressione pensierosa, le mani infilate in un paio di pantaloni beige. Di fronte a lui, seduto dietro una scrivania in finto mogano, il Sovrintendente aspirava nervose boccate da un voluminoso sigaro d’importazione. “Alla radio hanno detto che si è trattato di un banale incidente sportivo”, disse a Jis, “però non è la verità.” Il tono della sua voce era grigio quanto il suo completo di foggia austera, ministeriale.

Jis rizzò all’istante le orecchie, fermandosi a un passo dalla scrivania del Sovrintendente. “Ah, no?”, chiese.

“No. Abbiamo fornito alla stampa una versione dei fatti falsa circa la morte del Nostro Eroe.”

Gli occhi scuri di Jis luccicarono. Percepì la forza della curiosità riempirgli ogni fibra del corpo. “E perché lo avete fatto?”

Il Sovrintendente, prima di rispondere, roteò il sigaro nel posacenere, ripulendone l’estremità bruciacchiata. Poi disse: “Perché la verità è terribile.”

Seguì un lungo silenzio durante il quale ho il tempo per fare il punto della situazione. Praticamente sta succedendo questo: il Sovrintendente (che è un uomo di costituzione robusta sulla sessantina) sta parlando a Jis (che è un uomo magro sulla trentina) della morte del Nostro Eroe (che è un tale che non si sa bene chi sia, e poi intanto è morto, quindi chi se ne fotte). Anche se interagiscono con un certo “naturalismo”, il Sovrintendente e Jis non si conoscono, non si sono mai visti prima d’ora. Il destino ha voluto che si incontrassero solo oggi, e senza concedere loro neppure il tempo di stringersi la mano li ha infilati in un ufficio di merda, sollecitandoli a scambiarsi frasi e a compiere gesti con intonata disinvoltura, come se il loro fosse un rapporto autentico e non una sciolta improvvisazione.

Bravi, devo dire. Proprio bravi.

Il Sovrintendente, al termine del lungo silenzio, domandò a Jis: “Vuoi sapere com’è morto davvero il Nostro Eroe?”

Jis fremette e annuì col capo.

“Molto bene.”, cominciò il Sovrintendente, “Devi sapere che il Nostro Eroe era un pervertito sessuale, un incurab…”

“Lo sospettavo! Glielo leggevo in faccia che era un vecchio zozzone.”, sbottò Jis all’improvviso interrompendo il Sovrintendente.

Quest’ultimo storse la bocca e sventolò lontano da sé una voluta di fumo azzurrino con nervosi colpi di mano. “Silenzio!”, lo rimproverò. “Lo sai che odio essere interrotto mentre parlo.”

Jis, imbarazzato, chinò lo sguardo sul rettangolo impolverato che il sole, passando per il vetro della finestra, disegnava sul pavimento a scacchi dell’ufficio. “Mi scusi, signore”, si schernì.

Il Sovrintendente schiacciò il mozzicone del sigaro nel posacenere, si schiarì la voce e continuò.

Di bocca gli uscì un irripetibile racconto di morte e sesso acrobatico, del

quale erano protagonisti una mungitrice automatica, il pisello del Nostro Eroe, un castoro vivo e una racchetta da volano.

Una brutta storia, insomma, una storiaccia vera, di quelle che segnano per sempre le coscienze, però adesso basta così.

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