Prima periferia della città.
Jis è in strada. Con la schiena appoggiata al muro scrostato di un palazzo, studia con scrupolosa attenzione una grande macchia d’olio, spalmata sull’asfalto a un paio di metri da lui.
Ha la barba di tre giorni, i muscoli facciali secchi e tesi. Davanti, ogni tanto, gli sfilano dei passanti, ma la traiettoria del suo sguardo non è distratta dal loro transito.
“Non c’è motivo di allarmarsi”, bisbiglia tra sé, “è solo una banalissima, indelicata, indomita, sciagurata, ipertiroidea, femminile, allampanata, orrida, infida, schizofrenica, terminale, logorroica, futile, urbana, ricca, gastroenterica, civettuola, fotonica, glaciale, sfacciata, troia, bisbetica, agghindata, lubrica, raggomitolata, isterica, brillante, seria, seducente, olfattiva, carolingia, crudele, cimiteriale, orfana, ladra, assassina, arzigogolata, sfrenata, viziosa, ragionevole, preoccupata, irritante, sublime, realizzata, faticosa, topografica, inamovibile, fluida, grezza, barbiturica, osannata, incredula, sbigottita, variopinta, allegra, seducente, altezzosa e difficilmente pulibile macchia d’olio.”
Sono le quattordici e ventisette di un assolato pomeriggio di ottobre.
Jis (a questo punto si può svelare) è sotto l’influsso di una potente droga. È, come si dice nel fantasioso gergo degli scoppiati, “nel viaggione più completo”.