Il giorno dopo, presto. L’inizio era possibile prevederlo un venerdì 9, ad esempio, in ‘un
caffè, grazie’, che già il 10, il mattino successivo, evolveva in ‘un caffè al vetro’, ‘un
bicchiere d’acqua, signore?’, ‘sì, grazie’. Poi, come sempre, di corsa sarebbe giunta la
domenica, 11, dove i caffè si moltiplicavano e divenivano due – uno al vetro, uno normale,
oltre il succo di pompelmo e un bicchiere d’acqua, come prevedendo, tuttavia, che il
lunedì 12 si sarebbe tornati a ‘un caffè al vetro e un bicchiere d’acqua, grazie.’ Se
martedì 13 invece si fosse trovato a passar di lì quel tuo amico che ti voleva dire, quello
con mille e un problema al lavoro – hai capito – quello che non avrebbe mai ordinato
nulla, teso com’era su di un fior di credito sospeso da chissà quanti mesi, eccoci di
nuovo timidi, delicati, sottovoce – per forza – a sussurrare ‘un caffè, grazie.’ Mercoledì 14
per la prima volta uno sguardo si distese sul bagnasciuga di un tavolo lì in fondo dove
un giornalino autoctono esplodeva il colpo in aria che dava il via agli ultimi cento metri
della stagione delle lunghe elezioni con ‘un caffè al vetro, macchiato caldo e zucchero di
canna, grazie’. Che, sinceramente, non lasciava percepire orizzonti proprio illuminati;
portava fuori asse quantomeno un deluso anarchico qualsiasi ‘con un caffè e un
tramezzino uovo e pomodoro, grazie.’ Se poi, già al giovedì che ne contava 15, avesse
puntato sulla pretesa di in ‘un caffè lungo in tazza grande’, ‘vuole panna, signore?’, ‘a
parte, grazie’, anche un bimbo, certamente anche un bimbo, avrebbe potuto intuire.
Così, come in tenzone – quelle piccole, inconsapevoli rivoluzioni che durano il tempo di
un ciao-ciao (ché poi hai da fare) – ‘un caffè semplice, grazie’ restituiva un po’ di
serenità, se non nel rettifilo sei-passi del bancone, in quella cadenza, in quel ritmo
tuttodèntro della giornata che ti eri immaginato a partire, appunto, da un caffè, anche
senza zucchero, anche senza lieviti… Ovviamente, sarebbe bastato un qualsiasi venerdì
16 a voce alta, altissima, sollecitata da un voto, lì, a pochi giorni, e ‘quattro caffè, di cui
due macchiati, un cornetto, una bomba alla crema, una pizzetta rossa, due cappuccini,
con cacao e senza – io niente – e una spremuta d’arancia e limone’ a far ribaltare la tua
anima utilitaria con una tenuta di strada appena normale, logica. Sabato no e domenica,
di nuovo domenica, quella domenica, eravamo come leggeri e liberati di fronte a ‘due
caffè – uno al vetro e uno normale – un succo di pompelmo e un bicchiere d’acqua,
grazie.’ Sì, esattamente come la settimana precedente. Anche se intorno ‘cinque caffè,
di cui tre macchiati, tre cornetti, una bomba al cioccolato, tre cappuccini, tutti con la
schiuma – io sempre niente – e un succo al mirtillo’, sembravano sottolineare con una
perfidia del 3-4% almeno – immagina quei piccoli sorrisi stretti stretti tra i denti – che
‘tutti i giorni era domenica’ sempre per quel tuo amico che ti voleva dire, quello con
mille e un problema al lavoro, quello che non avrebbe mai ordinato nulla, concentrato
com’era su di un fior di credito sospeso da chissà quanti secoli.
Il Bar Mattino ora è chiuso. Sembra un cortocircuito della lavastoviglie – troppo, troppo
ricca di tazze e tazzine – che deve aver fatto contatto, probabilmente, con il credito
sospeso di cui sopra.
“Che vuoi fare, è la vita”, si ritrovava qualcuno a dire.
BAR MATTINO
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