BELLE STELLE MINORI

Per l’ottima cottura del cosciotto umano – io che amo molto la cellulite – mi segno questa data, venti trenta quaranta, questi aromi, storia della macellazione occidentale, questi dosaggi, cento sessanta gradi di latitudine sud, e la temperatura giusta, che è importante sapete: sentirmi organizzato mi rinfranca; in seguito solo i più piccoli dettagli.  Il gatto, per esempio. Il cane, per esempio. Persino i chiodi d’acciaio del carpentiere. L’omuncola di Syracuse, New York. Prende coraggio,  si strofina  – prima in un senso, poi nell’altro, poi verso l’alto, il basso, poi  a movimenti ondulati e costanti e a piè sospinto – l’omuncola di S., N. Y., dicevo, strofina, vi dicevo, un’affilata minuscola lama sulle due gambe irte di melliflua peluria. Curva quel dorso cui sono serviti non so più quanti milioni di anni per erigersi in altezza e posiziona il corpo in modo innaturale, come io non avrei mai immaginato, insomma. Pensate: niente orizzonte, solo sorrisi ammiccanti e crema da barba. Gambe divaricate, testa in giù, rasoio tra indice e anulare, mano sinistra stranamente; sul tetto piccoli dolci e millefoglie, miriadi di coccinelle, un’armatura del sedicesimo secolo, due reggicalze da uomo, tre sigarette elettroniche,  un urlo raggelato nell’attimo dell’emissione, un pezzo di fegato sanguinolento (cui ci saremmo dedicati in futuro). Nient’altro. In lei unicamente quella passione voluttuosa e innocente, ma coltivata a dovere: riempirsi di strutto il più possibile. Belle stelle minori si dispiegano allora in un firmamento di ben altre fulgide e inutili stelle: glutei enormi di gelatina, fianchi con smagliature, la doppia pancia, pelle a buccia d’arancia. O grasso, dice. Maledettissimo grasso. Che alla malinconia conduci.

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