Quasi le sette,
e vi è un blu ancora di un blu che confeziona esteso tutte le cose.
La platea di auto in sala, lì, fin dalla sera prima, e che a poco a poco dilegueranno nel giorno per andar dove poi…
E il barista che non distingui per il suo cortese ‘buongiorno’,
per l’effetto sonoro della serranda che –
sollevando –
mastica ferro, invece.
Infine il palazzo,
visto da sotto,
color anche lui del cielo a quest’ora
(abbandona così spigoli e limite).
Quasi le sette ogni aspetto armonizza per poi liberarlo nel coro,
in un coro curioso di treni lontani ed “Enzo!” improvvisi,
di bianchi e di rossi,
di pensioni così che vanno alla spesa presto al mattino,
di sogni a sei anni appena svegliati dalla prossima scuola.
Quasi le sette, qui, esiste da sempre,
sembra.