Ho avuto l’otite. L’orecchio sinistro mi informava sì, ma con fruscii e parole ingannevoli. Alla fine del mio turno, camminando verso casa, incontravo di nuovo gli stessi. Gli uomini delle sette di mattina, quelli che pedalavano con le bici arrugginite verso l’officina.
Ogni giorno un buon giorno per me e per loro che al mio ritorno stavano sotto le fronde, lungo l’argine. Nell’ora di pausa, bisognava ammetterlo, da cent’anni nessuno si era così comodamente disteso sull’erba in quella postura di soddisfazione. Le déjeuner durava fino alla mia traversata con rinnovo del saluto. Così tra prato e non prato ci si frequentò senza conoscersi. L’amorpha fruticosa, mimetizzandosi con la robinia, invase presto tutta Prato passata a coloranti sintetici. Fu sicuramente Ydir, giunto da Gibilterra, che rividi in reparto: sentii la sua voce, lo abbracciai come uno di famiglia e nella stretta il mio orecchio incollò il suo, oltre le colonne.