LE STANZE (da favole del ’68)

eucaliptolo

segue rombo – il sole ricade – sollecito mi stacco

un sedicesimo fugge via

questo fu il mio prezioso contributo

al conflitto tra eusebio mondovì e giuseppe sciara

fu a scuola e tra classi in regola

fu in una via privata (che t’aspettavi miocaro)

chiarisco che non ho nessun tagliacarte

ne mi crebbe lupino tipografico sull’ombelico

la prima umida crisi contro colse lo stato

colse i primi cinque a tavola

con opportune parole opportunamente malilluminate

(nel budello che sai)

i professori iniettavano sputi opulenti

sulle sedie di velluto sanguedibue

il concetto nero (alto e snodato) muore al mio fianco sinistro

calen balatto rogio ambrasolla kerner farri

issano sulla pedana uno sconosciuto addormentato

(i professori scalciarono dietro il portone di ferro

gelarono caddero uno ad uno senza pantaloni

tra i piedi caldi della mia segretaria)

(essenza di mugo)

ma io (quieto non graffiare) non volevo cominciare

dirlo sognarlo arrestare tutti i miei concittadini

il mio migliore cliente

anna tuttavia mi spinse sbadatamente

(non ero ancora abbottonato stavo

ancora al balcone a pasteggiarmi il caffé)

mi spinse nel centro

e leccavo un tubo

parlo (con radicale efficienza) delle origini del cilindro

una scopa equatoriale (armata) – si vince così

sono io dopotutto che vinco e m’interessa poco

leccare se mi stanno osservando

(infatti) mi rigiro e sputo in piazza massimo

la più bella poltrona di velluto

sognata dalla più netta mente artigiana

finalmente smettono d’inseguirmi

mi vesto scendo catalogo i beni anarchici

delle comunità religiose

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