Il signor Pietro stava appoggiato sulla battigia, livido, gonfio. La sua storia tatuata sui polpacci rigidi. Ho aspettato dieci ore prima di sapere che faccia avesse. Dieci ore di attesa in fondo al mare e a ridosso degli scogli a scrutare facce curiose strappate ai bagordi del giorno di Natale. Il signor Pietro era uno che se ne fregava di Natale e di Pasqua e di mangiare a tutte le ore. I suoi muscoli sani e asciutti lo dicevano chiaro, “Me ne fotto di strafogarmi; alle vostre cene e ai vostri pranzi, preferisco il mare, il silenzio dei fondali quando tutti fanno festa”. Il signor Pietro era il signor Pietro, un testardo. Lo dice la moglie strizzando gli occhi mentre se ne sta con le braccia conserte come una scolaretta ubbidiente che non sarebbe mai scesa in mare il giorno di Natale e con quel freddo, anche se la giornata era bella e al sole si stava bene. Lei non ci sarebbe scesa nemmeno a Ferragosto. Lo ripete mordendosi le labbra che il mare è traditore. Lo diceva a suo marito di non sfidarlo, ché non si sfida mai chi è più grande di noi. Ma il signor Pietro era uno cocciuto e c’è voluto andare anche a Natale, il giorno della nascita di Gesù Cristo. Lo dice mordendosi anche la lingua per paura che si sveli quello che pensa, che bisogna santificarle le feste, soprattutto quando è la festa delle feste, è Natale, la nascita di nostro Signore Iddio, e non si può stare in acqua proprio quel giorno, ché poi nostro Signore se la prende a male e prima o poi certe mancanze ce le fa pagare. Recitava così la moglie del signor Pietro, mordendosi labbra e lingua. Gliel’avevano detto lei e i suoi fratelli che era meglio lasciar perdere, ché già l’anno scorso c’era stato l’avvertimento, s’era sentito male. Se l’era vista brutta quando il gommone si era staccato dall’ancora e se n’era dovuto tornare a nuoto. Il signor Pietro, però, se ne fregava dei parenti che gli dicevano cosa fare. Il signor Pietro in mare ci voleva andare, anche il giorno di Natale. Quando è arrivata la chiamata stavamo ancora seduti a mensa: gli avanzi del panettone nel piatto e i bicchieri per il brindisi in mano. Lo cercavano dal pomeriggio. Ci siamo messi in viaggio in piena notte sotto il cielo stellato tra Natale e Santo Stefano. Una di quelle notti sante così come te le aspetti, in cui ti ritrovi ad immaginare che qualcosa succeda per davvero; che qualcuno alzando gli occhi al cielo decida finalmente di nascere, senza perdere tempo a occuparsi di altro. Perché occuparsi delle proprie cose è cosa buona e giusta e non esiste modo migliore per onorare la propria vita che rimanere dentro guardando fuori. Che ognuno si trovasse la propria musica da suonare, la propria storia da raccontare. Perché è nella propria casa che ogni giorno si compiono i miracoli e in nessun’altra; ché Gesù era il bambino divino e non aveva scelto a caso di nascere in una mangiatoia a fianco di bue e asinello; Gesù era uno che la sapeva lunga e intendeva dire, “Sono uno di voi ed è di noi stessi che dobbiamo nutrirci, per stare in questa terra e per incontrarci altrove”. E intanto che lo dice se ne sta con le braccia aperte. Lui sta sempre con le braccia aperte, sia in cielo che in terra, come se dicesse sia fatta la volontà di chi desidera, di chi vuole che le cose accadano. Il signor Pietro era un uomo pieno di desideri ed era pronto a difenderli e a onorarli, soprattutto, il giorno di Natale. Anche se per lui era Natale tutti i giorni e tutti i giorni lo santificava buttandosi in mare, in estate e in inverno. Nessuno avrebbe potuto fermarlo. L’ho capito quando l’ho trovato a braccia aperte come Gesù bambino. Giaceva a ridosso di una piccola grotta e piccoli pesci gli lambivano i polpacci. Sembrava si fosse abbandonato, finalmente libero di starci tutti i santi giorni, in fondo al mare. Avrei voluto lasciarlo lì, con la beatitudine in corpo. Forse il signor Pietro c’è venuto a morire, in fondo al mare, lontano dalle insidie dei parenti. Me lo immagino mentre dice, “Mi avete rotto i coglioni, vado a godermi il silenzio dei fondali, in mezzo ai pesci e in solitudine; vado a nascere a nuova vita; voi tenetevi la vostra, piena di pranzi e cene fino a strozzarvi. Vi lascio un po’ di preoccupazione che non guasta mai, a quelli come voi che credono non esista altro mondo possibile”. Era uno tosto il signor Pietro. L’ho capito dall’espressione serena e dai muscoli asciutti sotto la muta. L’ho capito quando è arrivata Irina, la watussa dagli occhi rapidi. Si è chinata sul suo corpo gonfio d’acqua e l’ha baciato sulle labbra, a dispetto della voce in farsetto della moglie che continuava a chiedere chi fosse quella battona che baciava in bocca suo marito. Il signor Pietro doveva essere un tipo sveglio. Uno che aveva imparato a riconoscere la bellezza della scelta e aveva scelto Irina e il mare, vivere piuttosto che morire schiacciato dal peso della coerenza fine a se stessa. Il signor Pietro aveva capito che si è sempre in tempo per viverla come si vuole, la propria vita. Al signor Pietro dovrebbero fare un monumento. Invece l’hanno portato via dentro una cassa da morto e così sia. Avrei potuto lasciarlo in fondo al mare. Ma sono un vigile del fuoco, capo squadra esperto del nucleo sommozzatori. Io recupero corpi. Vivi o morti che siano.
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