(SIGIR)

Loro conoscono tutte le lingue del mondo e sono stati fraterni amici di Enoch. / Con lui hanno trascorso memorabili serate, bevendo birra e ruttando alle stelle. / “Noi è da lassù che veniamo”, gli dicevano indicando Orione, “adesso scrivilo trecentosessantacinque volte sulle steli di Göbekli Tepe e poi raggiungici al Livello Otto dell’Eden”. / Enoch obbediva, scalzo e con la barba di qualche giorno, nella polvere e nel vento caldo della sera.

Loro vogliono che si dica che finché c’è vita c’è speranza, e che rosso di sera bel tempo si spera. / Detto questo, vogliono che si sappia che dai luoghi comuni non germoglia niente. / “Per cui, basta coi luoghi comuni”, esortano, “concentratevi sui vecchi ricordi, quelli che scambiate per false speranze.” / “Da più di un millennio avete”, continuano, “la tendenza a non voler imparare niente, andate avanti e indietro come cammelli nella stanzetta tetra della vostra testa,” / “circondati da un odore di chiuso, di acre, di mutanda stinta”. / “Eppure”, proseguono, “ci sono più finestre che vicoli ciechi”. / “Apritene una qualunque e fate volar fuori almeno una stronzata fra le tante”.

“Diciamoci la verità”, concludono, “eravate molto più trendy ricoperti di spesse pelli conce, ritti su monoliti scolpiti o scaldati al fuoco delle grotte”.

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