Ogni volta che saliamo al Monte della Terra
Noi traiamo – inclini non a salirvi ma a esservi
Stabili in un’incrollabile dimora: ma come
Può esserlo, un concreto, imperscrutabile? un invisibile
Vivido e percorribile? un celeste propagginabile
Nei nostri sensi? e come, se solidi,
Che niuno possa li crolli, e nemmeno
La freccia di un Re attraversare –
Noi caviamo profitti da una siffatta vedetta
Come fossimo gnomi celesti;
Ogni alba che a lassù noi guardiamo dal punto
Di vista della cruna come a chi, alpinista, allarmi,
A segno ne svetti tetto di cima alpina,
Una vetta che appare, come sposa novella al marito,
Nella pelle non stare e lamentarsene, bussando all’uscio
Del bagno in comune, per le mattutine abluzioni del dio,
Ogni alba siffatta è una striscia perduta in un’evanescenza di luci,
Ma la luce, si sa, è fatta ahimè per svanire…
Ecco accostumarci allora all’ancipite buio,
Enigma della nostra rachide dismisura d’ogni solido metro
E in essa ascoltarvi farsi una, benché ignorandovela,
Quella convinzione di poter toccare al suo più alto grado
Di perfezione l’impietrita solennità della nostra scorbutica cetra.
Ecco perché, porto orecchio al passo di chi adegua
Tutto se stesso nell’adempimento al fratto di Giustizia,
Diremo, con l’inglese, from loin’s executioner…; ecco perché
Porto meglio il cielo del palato alla fossa auricolare dello
Spergiuro per dare lettura del dispositivo della sentenza
Sentiremo sferragliare il mazzo delle chiavi di lui, il
Carceriere, credendo siano le altrui, le nostre mai
Benché prefiche le ortiche, le mandragore assatanate
Al piede del patibolo, e sulle strade vetrificate e sulle viete vie
Le tube magnificanti delle trombe di polvere,
Sollevate dai carri non, disilludetevene, da crollo di montagne,
Il mucillaginoso ovario delle tombe tutt’in asciolvere
Ad opera dell’uomo, ispezionante ostativo il quando,
Al vestibolo d’utero del nome di sua morte, uno spettro lo si
[annoverasse
All’ortica del come di sua sorte!
Sbroglieranno allora l’ingenue ombre ingenuamente tutte le
[matasse
Dei vivi coi gran morti come la carestia chi vi s’annoverò
[Manasse?