da ABITUDINE E POESIA – 26.6.95

il fungoide domanda a che/a chi serve la poesia?

sostenendo che soprattutto il portatore di ideologia ne avverte la necessità

fu questa oscuramente la ragione che indusse il commentatore-avo a sostituire sia nella forma immediata sia nella sua descrizione la parola poesia con la parola scrittura in quanto la scrittura più che a un desiderio risponde a una neces­sità

una scrittura però che innanzitutto abbia memoria esecutiva del suo essere tale

e in ciò di volta in volta individui

e si individui

nella specifica necessità che la fa insorgere perfino scrittura-per-la-scrittura

è tautofonicamente innegabile che la scrittura deriva cronistoricamente dalla scrittura e ‘ideologicamente’ dall’esserci della lingua

dunque la necessità che la promuove é molteplice e mnemonica

                                     spaziale

                   oggettuale

ed è sempre simultanea dentro e fuori di se

è simultanea dentro perché è riconoscibile a caso e a volontà

è simultanea fuori di se perchè di volta in volta esclude a caso e a volontà questa o quella presenza di oggetti di situazioni

(se esclude a caso il suo tasso di necessità è alto  se esclude a volontà è basso)

esserini patiti di immediatezza frugano

nei luoghi della scrittura senza considerare

o sapere che il tocco inesperto fa scattare

quei luoghi e chiudere come armadilli

ma bisogna qui osservare che il tocco esperto

nella maggior parte dei casi

induce quei luoghi-della-scrittura

a compor­tarsi (ed essere) in altro

vale anche per le parole

e tutti i segni scritti

e con assai più determinante ragione

la stessa cautela di progettazione

elabo­razione e uso che si osserva

negli strumenti sempre prototipi

per l’osservazione e lo studio delle particelle

i linguisti e i grammatologi di buona razza

esercitano il loro sanguigno mestiere

non soltanto indisturbati ma per­sino solleci-tati e munificati

vista l’estensione veramente terrifica

delle boscaglie e delle foreste

prodotte dalla scrittura

nei luoghi istituzionalmente deputati

e negli spazi intracraniali

le istituzioni della scrittura

in effetti indicano soltan­to aree

d’impiego pratico del tempo

la scrittura (scripta manent) una volta data

non può essere manomessa in alcun modo

e d’altronde non se ne vede proprio la necessità

se non funziona basta ignorarla

la consistenza fisica della scrittura

è tale da consentire operazioni e interventi

sul suo corpo che se ben percepiti

ricadrebbero su ogni altro tipo di operazioni

e di intervento e l’intera morfologia

istituzionale-e-non del fare (e dell’es­serci)

verrebbe di scatto accostata al nostro sensorio

al punto da alterare irreversibilmente

la nostra memoria/espe­rienza del dato

e del possibile

sicché é pregiudiziale sapere

quanto ‘pesa’ un segno scritto

                            quant’é

 

a parere del ragioniere che qui ci sta assi-stendo

la consistenza fisica della scrittura

non esiste in-generale

ma sempre e sol­tanto nel particolare-in-azione

ed é ricavabile dal conflitto armato

tra abitudine e assenza d’abitudine

presente in quel campo d’azione

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