Non ho più sentito quella scia
di patchouli che precedeva il tuo passo lento pesante
gravido. Una brezza irritante sensuale che stringeva
l’aria s’inerpicava su per il naso entrava
nelle narici delle orecchie carezzava i polpastrelli
indugiava dentro la patta dei pantaloni passava
dalla rotula scivolava dal polpaccio via verso altre
fosse delle marianne. Non l’ho più sentita e se la cercavo
mi coglieva di sorpresa la tua grande mano morbida
che accarezza una tempesta
d’incertezze e il rancore della pelle gli scrivo
gli telefono ci facciamo un goccio una giullarata
un sonno ristoratore ma insomma signor lei perché
insiste con le sue deiezioni scrittorie
io sono stitico. Ma sì siamo seri ubriachi spreconi
a cucchiaio piegato buone giornate scendi sei in ritardo
la recensione l’improvvisazione la finzione la pensione
non fumi più vabbè e la sigaretta ti fa pure schifo anarchico
però
quella scia di no profumo di via meccio andata via
che mi faceva trasalire con l’amico fragile che ci ronzava
in testa il negro e il vecchio e il cruccio delle ragazze e
la città lontana e gli spilli fitti dell’amor fou.
Non c’è veleno metropolitano nella tua campagna
spalancata sul mare che ti beve respiri lo spazio
terso del mattino la sera del silenzio la luce ferma
sulle palpebre le nuvole svagate dell’indomani il gracidare
fra le stelle il vento dentro gli alberi la pioggia
della primavera quell’infido sole di maggio
una fragrante stanchezza forse sento il tuo patchouli.