Scendo dall’autobus stanco e frastornato. Incontro l’amico storico, quello che non puoi evitare, quello che non capisce mai quando non è il momento. Non sono solo stanco. Sono anche appiccicoso del sudicio che solo i mezzi pubblici riescono ad accumulare. Sono lucido di sudicio a smalto. Puzzo di plastica marcia. Ma lui, l’amico storico, insiste: beviamo. Ma certo che beviamo, figuriamoci. Un Campari con vino bianco, grazie. E parla parla parla e non si ferma. Si è stirato una grammata, l’amico storico, e di tutto si interessa fuorché del fatto che a te l’unica cosa che piacerebbe fare è dormire. E prima una doccia bollente. Mentre ascolto mi libro in alto tra le volte del bar: volo tra bottiglie di liquore Strega e Averna Riserva Oro e Cesti del Natale ’86 sperduti sulle vette delle scaffalature. Ancora un camparino? Ma si, diamoglielo. Vieni con me fino al bagno? No – ti sembra di essere una fica discreta?
Finisce, questa storia, come quasi tutte le mie, con i Carabinieri che hai voglia a spiegar loro che il mio peggior capo d’imputazione è il Campari: non ci credono, e per sei mesi dovrò fare la pipì davanti a un’infermiera. Va bene. Mi scusi, Silvia. E’ il nome dell’infermiera del Sert.
Si, però, davvero, i mezzi pubblici: lavateli, cazzo. C’è la meningite a mazzetti, su quei poggiatesta