Vive da solo in una grande casa scomoda e abita in una stanza con finestra e un’apertura che dà su una piccola terrazza stipata di piante. Mi era capitato di vederlo dal mio balcone le prime volte la mattina presto, quando tirava le tende, e la sera tardi, quando chiudeva le malandate persiane. Negli altri palazzi tutt’intorno, solite grida di bambini, potatura di fiori, fumatine di uomini e salutini di donne, tutto molto discreto e senza enfasi. Ma quell’uomo del secondo piano di una palazzina neoclassica di fronte a casa mia, è diverso; non esce forse anche da prima che a tutti venisse impedito per non respirare il veleno della città infetta.
Di quest’uomo riservato e di età indefinibile mi accorgo veramente solo ora che non manca il tempo per guardasi dentro e intorno. Veste con molta cura, lunga giacca da camera amaranto, pantaloni grigi e cravatta che cambia ogni giorno. Una volta l’ho sorpreso aggirarsi in terrazza in completo abito scuro con cappello a falde larghe, quasi amasse ostentare la sua eleganza davanti a un pubblico invisibile. Dalla sobria disinvoltura con cui si muoveva e dalla appena accennata piega ironica delle labbra su cui si adagiava un’ombra di baffi ancora biondi ho anche pensato che in gioventù avesse fatto l’attore e adesso provasse la parte in una commedia di Bernard Shaw.
Dai primi sguardi casuali e sbrigativi sono passato alla curiosità voyeuristica e ho imparato a scoprire gli angoli privilegiati da cui poterlo spiare in quasi tutti i suoi momenti privati. Ho anche avuto l’inquietante sospetto che lui sapesse di essere osservato e facesse di tutto per farsi vedere sulla scena. Ma di questo non ho alcuna prova, se non nel remoto piacere della mia immaginazione.
(“tratto da I racconti del balcone – Diario della quarantena in Sicilia, supplemento de la Repubblica del 25 luglio 2020”)