Personaggi tanto eccezionali, scrive Alfred Jarry, riferendosi senz’altro a ogni protagonista dell’ultimo romanzo parapatafisico di Gaetano Altopiano, “La succube neonata”; personaggi tanto eccezionali, scrive, meriterebbero di passare alla storia. Ed è quello che probabilmente accadrà aggiunge, valutando la natura di ognuno di loro che altri non è – in sostanza – che un fuggitivo. Sulla parola. Non da un luogo geografico a un altro, non da un penitenziario, da una famiglia tirannica o da un matrimonio opprimente – che già sarebbe fin troppo scontato – ma dalle pagine stampate di quel mirabile scritto. Proprio così. Tutti e quindici i protagonisti, infatti, tentano in continuazione di abbandonare il romanzo e sembra che all’interno della parapatatrama non abbiano altro scopo che quello: sgusciano, scappano, si nascondono, scompaiono per giorni interi per poi magari riapparire all’improvviso, senza motivo e magari anche solo per qualche minuto in un nuovo nascondiglio. Un vero rompicapo. Che non conduce a nulla però, dice Altopiano: conoscendoli li ho incollati a quel libro alla perfezione. Si noti, solo per citarne un paio, il caso dell’Intemperante ossuto, il ragazzino di quattordici anni figlio della signora Gina, che dopo giorni di lettura ho scoperto nascondersi dietro la prima A della parola “neonata” del titolo in attesa del momento buono per lanciarsi sulla mia scrivania. O quello delle gemelline Scrivia che, a ogni scena, fingono di prendere con noncuranza una cioccolata mentre in realtà, alla mia minima distrazione, tentano la sortita aggrappandosi puntualmente ai miei polpastrelli. O ancora quello di Cento-centodiciassette, il cane parapatafisico che barrisce: ieri è arrivato fino alla porta dello studio prima che lo riacciuffassi.
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