Eppure sembra lunghissima la trattativa che un vento imprevisto impone al mio ultimo ombrello in quel giorno di pioggia. Conosce infine il suo closing un’ora, la sera, un 30 dicembre ‘27, di giovedì, in un luogo chissà. Un omaggio o un anello orbitale di anni – quasi – sessanta che fissa penultime notti prima che l’anno seguente entri nel mondo. Una clausola in più sul contratto Non disturbare la vita degli altri. Così, resta a bagnarsi il popolo che – ecco, dispiace -… Saluti da Roma, dalle nostre piastrelle, infine da me.
A te: che forma elastica siamo? Impariamo ora a dire non più ti voglio bene – non andremmo via mai, e avremmo il sapore, sai di quel vino che non convinceva? E allora alziamo il volume, l’ascolto, come se fosse sfiorarsi le mani, “l’ombrello tienilo tu, io non mi bagno”, e avanti così, così anche senza cornice, ora che sono lanciato nell’unico modo che posso e che, sì, vale ancora tutta la mia, la tua di pena, seguendo le onde sonore che arrivano, arrivano da alcune curiose frontiere di ingressi, di spazii e “cos’è?”
Non sembra voglia aggiungere altro. Ricomincia – probabile – a stupirsi, a lavorare. Almeno lo pensano in molti, quel giorno vien da pensare così.