Qui il dialogo si è spento.
La conversazione devastata da una battuta. Andiamo a Medjugorie. Lanciare una bomba a mano nel
reparto maternità; stessi danni irreparabili e irreversibili.
Scena 33. Numero simbolico per una morte, uno però si aspetta anche la resurrezione parte della
stessa storia. Ma non ci sarà. L’altro inquilino del mio cervello -almeno, la voce viene da lì– vive in
autonomia, quando sparisce non lo cerco, non tornerebbe per così poco. Rimane da aspettare e
proporgli esche che lo stanino, eventualmente. Idee balzane, amori insensati, grandi e generici
ideali, serie assunzioni di responsabilità durante overdose da ipocrisia, dibattiti morali interiori sulla
correttezza o meno dell’obbligo di raccogliere le feci del cane durante la passeggiata. Ecco alcune
idee per esche efficaci. Ma non è detto funzionino.
La voce si è spenta dopo quella battuta. Il cervello è rimasto vuoto e muto, pesci rossi inebetiti in
una boccia di vetro non trasparente adornata con capelli castani. Boccheggiano frequente per
scarsità di ossigeno, zampasse affamato il felino della tabellina del 7 non potrebbero difendersi.
Farne un film.
Trovare molti soldi, inventare scene e dialoghi, scegliere attori e locations, investire enormi quantità
di tempo, affrontare il calvario del montaggio. Fatica. Senza avere una visione, almeno qualcosa da
dire. Un film porno senza trama.
Andiamo a Medjugorie, forse ha ragione. Non sembra più tanto una battuta, adesso somiglia alla
frase migliore potesse dire per metterci una pietra sopra. Al film. Con tanto macigno sul petto
muore asfissiato in poco, il film. L’ennesima volta, nessuno ha più tenuto conto di quante sono state
le precedenti. Questa sembrava diverso, sarà l’età, partita bene la sceneggiatura, piaceva. Poi è
uscita la storia della visione, l’ho servita su un piatto d’oro, l’argento non abbastanza.
Neanche so esattamente quale sia questa visione, speravo sarebbe emersa da sola a un certo punto,
venuta a galla gonfia di senso; invece a galla è venuto uno stronzo informe, una cacata in un mare di
senso senza senso. Sembrerebbe poesia, a tratti.
BENESSERE MILITANTE – Scena XXXIII
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